L’esperienza di uno scavo archeologico: il Castello dei Tre Cantoni.

Da mesi si vociferava che la Sovrintendenza ai BB. CC. di Ragusa, l’amministrazione comunale e la Confeserfidi, in qualità di partner nella compartecipazione finanziaria, avrebbero dato il via ad un progetto di studio su Scicli, sul suo castello nascosto tra carrubi ed erba alta sulla cima del colle di San Matteo; di rilievi delle strutture emergenti condotti da studiosi dell’Accademia polacca delle scienze guidata dal prof. Slawomir Mozdzioch, tramite sofisticate attrezzature non invasive come misurazioni geodetiche, analisi con metodi magnetici, e ancora scansione laser 3D. Il tutto a più di ventisette anni di distanza dagli ultimi scavi condotti tra i resti della città medievale.

Come spesso accade, quello che più si attende è di conoscere l’esito dello studio, i risultati concreti, ma stavolta una richiesta inaspettata ha stravolto le nostre ottiche e non solo: si cercano volontari per lo scavo, le unità specializzate sono poche e i giorni a disposizione, due settimane esclusi festivi, un lasso di tempo che corre via in un batter di ciglia. Che fare? Il periodo coincide con quello di lavoro di tutti noi, con l’estate alle porte gli impegni crescono esponenzialmente. Ma cresce anche la curiosità nei confronti di un’attività, quella di una campagna di scavi archeologica, inedita fino ad ora per tutti noi di Esplorambiente. Così spinti dalla passione per lo studio della nostra Scicli e il nostro territorio ci consultiamo, riflettiamo, stiliamo un calendario: chi può mezza giornata, chi di più, chi prende le ferie, fino a garantire la presenza di almeno uno di noi sempre.

Arriva il primo giorno. Si inizia, sono giornate di caldo anche afoso e solertemente ci si organizza: ci sono dei settori, si scava per strati uniformi, delicatamente; poi si passa tutto agli studiosi, il professore, gli archeologi volontari Alessandra Nifosì e Pietro Di Rosa o i giovani studenti Paola Eva e Arkadiusz, e si aspettano istruzioni.

Se detta così sembra una catena di montaggio con piccole formichine che operano sotto stretto controllo, in realtà quello che in una frazione di secondo viene a instaurarsi non è altro che uno spirito di squadra tra tutti i volontari, solido e proficuo. Si lavora febbrilmente con l’ansia di scoprire presto qualcosa: c’è chi vuole scavare curioso e desideroso, chi piuttosto che con piccoli strumenti andrebbe giù di piccone in pochi secondi. Giornalmente si vengono a formare gruppi eterogenei per età e provenienza (associazioni di volontariato, semplici cittadini, etc.) che lavorano con dedizione per portare alla luce dapprima pietre e tegole rotte, poi via via tratti di muro e qualche coccio… Di tanto in tanto si urla “Bones! Bones!” sperando ci si trovi di fronte ad una sepoltura di chissà quale epoca storica; peccato si tratti poi soltanto di resti di una povera mucca. Pazienza, riprendiamo!

Ci si scopre ben presto navigati studiosi del medioevo, con congetture che fioccano tra una cardarella da riempire e un secchio da portare al setaccio: “per me qui era così”, “per me dovremmo scavare là”, “il prof dice così, perciò la penso in questo modo” e via così… E ci si rende conto che emerge uno spirito di collaborazione e reciproco rispetto che si instaura tra volontari, docenti e responsabili della Soprintendenza, un legame inedito in uno scavo archeologico che spesso vede interfacciarsi professionisti attenti e concentrati e non “ruspanti scavatori iperattivi” come noi volontari: si lavora in allegria, con chi porta un giorno gelati, qualcun altro scacce, per uno “spuntino leggero e salutare”.

Caldo, vento, pioggia: il loro avvicendarsi ci accompagna fino all’ultimo giorno. I risultati scientifici li scopriremo fra alcuni mesi, ma uno importantissimo è emerso immediatamente: che il comune attaccamento alla città, la curiosità, la voglia di scrivere una pagina di storia hanno creato un gruppo di cittadini nel quale il senso di squadra e di comunità si è rapidamente cementato, un esperimento quanto mai inedito ed azzardato e per certi versi dagli esiti piacevolmente sorprendenti. Il prof. Mozdioch, il suo gruppo di lavoro, la dott.ssa Anna Maria Sammito e il geom. Bartolo Rivillito della Soprintendenza di Ragusa, avvezzi a queste attività si aspettavano che sarebbero stati sorpresi dai reperti portati alla luce, ma non dal clima gioviale e allegro che si è respirato, per due settimane, sotto i carrubi in un caldo giugno in quel di San Matteo.

 

  

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